Onorevoli Colleghi! - Le leggi vigenti riconoscono alle donne tre importanti diritti: il diritto alla scelta se riconoscere come figlio il bambino procreato, il diritto alla segretezza del parto per chi non riconosce il proprio nato, il diritto all'informazione, compresa quella relativa alla possibilità di un periodo di riflessione successivo al parto per decidere in merito al riconoscimento.
      Per quanto riguarda il diritto alla scelta, la sentenza n. 171 del 5 maggio 1994 della Corte costituzionale recita «Qualunque donna partoriente, ancorché da elementi informali risulta trattarsi di coniugata, può dichiarare di non volere essere nominata nell'atto di nascita». È da sottolineare che la gravidanza può innestarsi in una condizione di disagio della donna, ed essere quindi vissuta con estrema difficoltà e fatica. Laddove la gravidanza si colloca in un percorso di grave problematicità sono necessari interventi di sostegno mirati, per consentire alla donna stessa una maggiore serenità, per valutare la possibilità del riconoscimento o del non riconoscimento del proprio nato. Il diritto alla segretezza del parto, che deve essere garantito da tutti i servizi sanitari e sociali coinvolti, è assicurato dalla redazione dell'atto di nascita da parte dell'ufficiale dello stato civile. I passaggi istituzionali successivi (dichiarazione dello stato di adottabilità, sua eventuale sospensione per un periodo massimo di due mesi, nonché particolari casistiche relative alle partorienti minorenni) sono disciplinati dalla legge n. 183 del 1984 e

 

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disposte dal tribunale per i minorenni. Il diritto all'informazione va inteso come il diritto di ogni donna a ricevere una corretta e tempestiva conoscenza della disciplina legislativa e degli aiuti sociali, per poter decidere liberamente nei riguardi del riconoscimento. L'esercizio dei diritti di cui sopra può essere adeguatamente garantito soltanto in un'ottica globale d'intervento, che prenda in esame e tenda al superamento della complessiva situazione di difficoltà della gestante, fin dal manifestarsi dei primi sintomi di tale situazione.
      La presente proposta di legge nasce dalla considerazione che i predetti diritti delle gestanti e delle madri possano essere efficacemente ed efficientemente tutelati da parte di soggetti istituzionali di ampia dimensione territoriale, in grado di garantire l'intervento di operatori con specifica preparazione professionale in una materia così delicata.
      Giova ricordare che l'obbligo di assistere le gestanti e le madri risale al regio decreto-legge 8 maggio 1927, n. 798, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 dicembre 1928, n. 2838, in base alla quale le Amministrazioni provinciali dovevano (e devono tuttora salvo diversa normativa regionale) assistere le gestanti e le madri, nonché i fanciulli figli di ignoti ed i bambini nati fuori del matrimonio. Era ed è, altresì, previsto che «nelle Province, nelle quali lo consiglino le condizioni locali, l'assistenza del fanciullo deve, ove sia possibile, avere inizio all'epoca della gestazione della madre».
      Il citato regio decreto-legge n. 798 del 1927 è richiamato dal comma 5 dell'articolo 8 della legge n. 328 del 2000 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), in cui viene attribuito alle regioni il compito di disciplinare il trasferimento ai comuni ed agli altri enti locali delle funzioni relative al sostegno alle gestanti e alle madri e ai bambini non riconosciuti o nati fuori del matrimonio.
      Ricordiamo che, ai sensi dell'articolo 93 del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, il certificato di assistenza al parto e la cartella clinica in cui siano contenuti dati personali che rendono identificabile la donna che non ha riconosciuto il proprio nato possono essere rilasciati in copia integrale a chi vi ha interesse in conformità della legge solamente decorsi cento anni dalla formazione del documento.
      Purtroppo vi sono regioni che hanno approvato leggi senza tener conto dell'esigenza delle donne, qualora si trovino in gravi difficoltà psico-sociali, di essere adeguatamente supportate per quanto riguarda la delicatissima decisione di riconoscere o non riconoscere i loro nati e di poter partorire in modo assolutamente anonimo.
      È vero che le strutture sanitarie sono tenute ad assicurare il segreto del parto, ma è altrettanto vero che le delicate e impegnative decisioni in merito non possono essere assunte durante la brevissima degenza delle partorienti presso ospedali e case di cura private.
      Gli aiuti psico-sociali sono indispensabili sia per evitare riconoscimenti forzati, che in molti casi sono la causa di abbandoni tardivi, sia per prevenire le situazioni più drammatiche fino all'infanticidio. Tutto ciò nel rispetto della scelta delle donne che non intendono abortire e non vogliono riconoscere i loro nati.
      Infine, i comuni attualmente sono tenuti, in base alle leggi regionali emanate, ad assistere esclusivamente i cittadini residenti nei loro ambiti territoriali, mentre con questa proposta di legge si intende estendere il diritto a tutte le donne interessate, indipendentemente dalla loro residenza anagrafica.
 

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